Cosa ci viene in mente se pensiamo alla Costiera Amalfitana? Il mare, la luce che si propaga lungo la linea di costa alle pendici dei monti Lattari, i pittoreschi paesini incastonati come gemme all’interno di un territorio particolarmente impervio e apparentemente ostile in una sinergia unica e affascinante.
Ma oltre al paesaggio, alle sua chiese, ai conventi e alla particolare urbanistica affacciata sul mare, la “Divina Costiera” è soprattutto simbolo dell’artigianato locale che la caratterizza da secoli: la ceramica vietrese. Ricerche archeologiche attestano una fervente produzione già nel V secolo a.C., in particolare in epoca etrusca, fino alla sua grande espansione a partire dal XVII secolo con la maggiore diffusione di oggetti di carattere religioso come pannelli votivi e acquasantiere. Tale produzione s’intensifica col tempo rivolgendosi a elementi di uso più comune come vasi, brocche, piatti, zuppiere, ecc. Sul piano artistico, assistiamo, agli inizi del XIX secolo, alla nascita della florida fase del “Periodo Tedesco”, così definito per la presenza di un folto gruppo di artisti, giunti dal centro Europa, che lascerà un segno indelebile nell’ambito della produzione artistica della ceramica vietrese. Il primo artista ad aver riconosciuto le forti potenzialità dell’arte ceramica vietrese, Max Malemerson, esporta sul territorio le innovazioni culturali proprie del territorio tedesco agli inizi del XIX secolo, applicando, nel contempo, un’incisiva innovazione stilistica. Il suo studio in Costiera si riempie di artisti, tutti provenienti dal centro Europa come Gunther Stumedann, Richard Doelker, Margherita Thewalt o, ancora, Irene Kowaliska, affascinati dal caratteristico “colore locale”. Così Giò Ponti scrive, in quel periodo, sulla rivista Domus: “L’Italia è come una grande casa in cui nelle stanze, stanzette, cantine abitano gli italiani e sui terrazzi, balconi, campanili, tetti, parafulmini gli stranieri, nei luoghi più difficili e ariosi ….affermano il linguaggio palante del paesaggio e del cielo”. Degli artisti che affollano lo studio di Malemerson, Irene Kowaliska, di origine ebraica, nata in Polonia nel 1905, si diploma nel 1927 presso la Scuola di arti Applicate di Vienna per ritrovarla, quattro anni dopo, a Vietri sul Mare, invitata dallo stesso Malemerson a collaborare presso l’Industria Ceramica Salernitana (I.C.S.) come pittrice ceramica. Un anno dopo lavora presso la faenziera, l’Industria Ceramiche Artistiche Meridionali (I.C.A.M.) di Vincenzo Pinto. Dal 1937, l’artista mette in piedi un piccolo laboratorio di sua proprietà e la fornace di Molina, piccolo borgo nei pressi di Vietri. Con la Seconda Guerra Mondiale, l’artista lascia il laboratorio vietrese per stabilirsi, nel 1942, a Positano dove sperimenta originali dipinti su tessuto. Irene abbandona la Costiera nel 1956, per trasferirsi nella Capitale dove si dedica alla realizzazione di tessuti per il campo della moda e del design utilizzando la tecnica della serigrafia. Per un breve periodo, a metà degli anni ’60, ritorna a Vietri per lavorare nella ditta C.A.S. di Vincenzo Solimene. Di lei e dei suoi lavori, diversi cultori dell’arte hanno scritto parole d’encomio, tracciando le linee del suo percorso formativo come, ad esempio, Eduardo Alamaro e Fabio Donato.
Fin dal periodo della Scuola d’Arte di Vienna, l’artista manifesta la volontà di diventare ceramista per concretizzare a Vietri sul Mare il suo grande sogno: “Con un disegno fissai l’immagine di un sogno: ero seduta al tornio di un’ampia bottega con volta a botte e scaffali pieni di vasellame. Dalla finestra potevo guardare su colline e sul mare”. Sullo smalto ceramicato, Irene esprime, in pieno, le proprie emozioni sotto forma artistica. Perlustra il paese della Costiera camminando tra vicoletti e slarghi e disegna con matita a punta tenera: donne, bambini e uomini ma anche animali, tutti di quel territorio ancora vergine e non intaccato dal turismo di massa, dunque legato alla semplicità e alla lentezza del tempo che scorre, ne capta tutto l’aspetto genuino trasferendolo nelle sue bellissime opere. La Kowaliska, come gli altri artisti dell’area mitteleuropea giunti in Costiera, è riuscita a intrecciare la cultura nord-europea con quella tipica mediterranea captando e riportando, in forma artistica, grazie alla sua particolare sensibilità e al suo perspicace vedere, quella realtà che gli abitanti del posto non avvertono più: una donna con un’anfora sulla testa, il pescatore che trascina il pesce appena pescato, gli animali tirati dai pastori o più semplicemente le piante e i fiori che coronano e ingentiliscono la “Divina Costiera”. Disegna tutto ciò che osserva con un linguaggio che parte dalla propria base culturale viennese per concludersi e sapientemente miscelarsi con quella vietrese. Sull’argilla Irene esprime, attraverso pochissime pennellate e pochi colori, le sue più grandi e profonde emozioni. Muore a Roma nel 1991 dopo essersi dedicata, nell’ultima parte della sua vita, alla realizzazione di pittura su vetro e alla tecnica del mosaico. Sono dell’artista ceramista polacca le targhe di maiolica poste in prossimità dei civici e in corrispondenza dei passi carrabili del blocco di case di tipo A nel Rione Zevi (INA-Casa) a Salerno, realizzate alla fine degli anni ‘50. Una targa rappresenta un gruppo di famiglia sotto una tenda, altre invece propongono il disegno di una casa tipica mediterranea.
Si tratta di disegni molto minimali ma ricchi di profondi significati (l’idea, ad esempio che INA-Casa voglia dare un tetto a chi lavora ma che non ha ancora una casa), che dialogano tra loro: il gruppo di famiglia come interno alla casa e la casa stessa come esterno.