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Il primo giornale di Cetara

Dal garum degli antichi romani alla colatura di alici, la storia di un prodotto che racconta Cetara

Vi sono cose al mondo che, per un capriccio, un ghiribizzo del destino, si fondono l’un l’altra in un binomio inscindibile in cui l’una richiama l’altra univocamente e viceversa. È quello che è accaduto a Cetara con la sua colatura di alici.

Il prodotto che ha reso questo piccolo borgo della Costiera Amalfitana noto in tutto il mondo per un motivo diverso da quello della bellezza del luogo, ma legato al gusto. Un prodotto la colatura che ha alle spalle una storia millenaria. Essa ha come antenato illustre il garum dei Romani. Era il garum una sorta di salsa liquida a base di interiora di pesce salato, con la quale i Romani condivano molti dei loro piatti. L’origine del nome è incerta, ma poiché anche i Greci usavano un condimento simile nella loro cucina si può supporre che esso derivi da garos o garon dal nome che essi davano al pesce i cui intestini erano usati, in origine, per la produzione di condimenti. Sull’aspetto di tali salse o condimenti vi sono solo supposizioni, ma mancano notizie certe. Alcuni sostengono si trattasse di una sorta di pasta di acciughe, altri invece che assomigliassero al liquido della salamoia delle acciughe sotto sale. Simili quindi alla colatura che ancor oggi caratterizza Cetara.

Molti sono i richiami al garum nella letteratura classica.

Apicio, nel suo “De re coquinaria” , cita almeno una ventina di piatti della cucina romana conditi col garum. Tuttavia, dando per scontato che il lettore conoscesse l’argomento, glissa sulla preparazione della salsa. Solo afferma che essa si ottenesse facendo fermentare al sole le interiora di pesce e non ci dice neanche se esse fossero, preventivamente, salate.

Più preciso appare Gargilio Marziale che afferma: “Si usino pesci grassi quali sardine o sgombri, cui aggiungerete, in proporzione 1/3 di interiora di pesci vari. In un recipiente di circa 30 litri di capacità si comporrà un fondo di erbe aromatiche disseccate quali aneto, coriandolo, finocchio, sedano, menta, pepe, zafferano e origano. Su questo fondo si dispongano le interiora, i pesci piccoli interi e poi quelli grossi tagliati a pezzettini. Coprire il tutto con uno strato di sale di circa due dita e poi comporre suolo rimo un secondo strato e poi un altro, fino al raggiungere l’orlo del recipiente. Lasciare quindi riposare al sole per sette giorni e continuare a rimescolare spesso per altri venti giorni. Si otterrà alla fine un liquido che si conserverà a lungo.”

Plinio il Vecchio, nella sua “Naturalis historia”, indica il garum com un “liquor exquisitus” ottenuto dalla macerazione delle interiora di pesce ed indica come il miglior garum quello ottenuto dagli sgombri pescati in Spagna.

Poi, come avvenne per molte altre cose, con la fine dell’impero romano e la calata dei barbari, anche il garum cadde in disuso e se ne perse anche il ricordo. Tuttavia la memoria di esso ed i rudimenti della sua preparazione vennero conservati  da alcune comunità di monaci i cui conventi erano  posti in alcuni borghi della costiera amalfitana.

Quei frati usavano, durante il mese di agosto, mettere sotto sale le alici, pescate sul mare antistante quei piccoli paesi. Essi disponevano i pesci in piccole botti con le doghe scollate. Le botti erano poi poste in mezzo a due travi, dette ‘mbuosti, che esercitavano una pressione sul contenuto di esse. Di conseguenza dalla massa dei pesci colava il liquido che esse perdevano e che veniva raccolto in recipienti posti al di sotto delle botti.

Quel procedimento, poi si diffuse dai conventi alle popolazioni civili di quei borghi di pescatori ed esse lo perfezionarono introducendo dei cappucci di lana che raccoglievano e filtravano il liquido colato dalle botti.

Il borgo in cui maggiormente si faceva ci si dedicava alla produzione di quel prodotto era Cetara, secondo le prime indicazioni scritte giunte fino a noi dal primo decennio del secolo XIX.

Nel 1807 infatti Padre Niccola “Cocumella” Onorati, frate francescano,  redasse una sua memoria che intitolò: “Memoria Sulla Economia Campestre e Domestica Che Possano Servire di Supplemento alle Cose Rustiche.”

Nel quinto capitolo della parte seconda, intitolato: “ Della Pascagione e del modo di salare le alici che si pratica da’ Cetaresi, popoli del Regno di Napoli.” In quella parte della sua opera il frate descrive nei particolari come si faceva la colatura a Cetara ai suoi tempi.

Da quello scritto, ancora oggi, si traggono suggerimenti per la produzione odierna. Prima di redigere la sua memoria il frate Onorati trascorse un periodo di tempo a Cetara che era, allora, un casale della Città di Cava, sito nel golfo di Salerno e con una popolazione di 2800 abitanti. Insomma padre Onorati condusse uno studio attento del modo di produrre la colatura di alici da parte dei cetaresi. Egli prese nota di tutte le attrezzature utilizzate per la pesca quali le sciabiche grosse  e piccole, le rezzolle, le menaidi e i palanghisi, tutte specie di reti ed anche delle imbarcazioni adoprate come le tartanelle e i tartanoni.

Annotò coi loro nomi volgari e quelli linneani le specie ittiche pescate nel golfo.

Descrisse infine con precisione il procedimento per la preparazione della colatura, praticata a Cetara, partendo dalle alici pescate nei mesi freddi e dette vernotiche, che di quelle pescate tra marzo ed agosto ed indicate come majatiche. Per la salagione si usavano dei barilotti chiamati cagnette, in cui si disponevano le alici private della testa e  “del fiele e di quanto altro vien fuora”, ben sciacquate in acqua di mare e poste poi sotto abbondante sale marino. Le dosi prevedevano :

Per rotoli 90 di alici fresche vi bisognano 33 oncie di sale.”

Sui coperchi dei barili così riempiti si ponevano dei pesi per alcune decine di ore. Il liquido rilasciato dalle alici compresse detto zucco o colatura era poi raccolto in recipienti posti in basso.

Dopo il primo giorno quel liquido  si poteva usare come condimento, con l’aggiunta di origano, fette di limone ed olio di oliva.

Il procedimento oggi adoprato  differisce alquanto da quello descritto dal frate, ma le basi per la preparazione del prezioso ed apprezzato condimento restano le stesse di sempre.

La colatura è usata per condire spaghetti e linguine ed anzi è questo, a Cetara, un piatto della tradizione natalizia.

Oggi la colatura di alici di Cetara gode del marchio DOP. Un marchio rilasciato dalla Comunità Europea a quei prodotti alimentari le cui peculiari caratteristiche qualitative dipendono prevalentemente o esclusivamente dal territorio in cui essi sono prodotti.

 

 

 

 

Immagine mosaico garum romano

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