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Il primo giornale di Cetara

Il mito della Divina Costiera nell’immaginario collettivo

-di Giuseppe Esposito-

Quella che va sotto il nome di Divina Costiera ha da sempre colpito la sensibilità di tutti quegli artisti che, fin dai tempi più remoti hanno avuto il privilegio di conoscerla. Tralasciando i romani, che pure hanno lasciato le loro tracce, come si può constatare visitando la villa marittima di Minori, possiamo ricordare l’entusiasmo del protagonista della Politische Novelle di Frank (1928) che di fronte al panorama che si gode dall’alto di Ravello esclama: “Non c’è mai stato niente di più bello sulla terra.”

Ma è anche interessante ricordare dell’ammirazione di un altro sommo artista, quale Boccaccio, per questo lembo incantato di costa. Il Boccaccio ebbe modo di frequentare Napoli e la Campania, grazie all’attività di suo padre, procuratore del Banco dei Bardi, che era fra i maggiori finanziatori del re di Napoli Roberto d’Angiò. Egli, nel suo Decameron, scritto tra il 1349 ed il 1353, così si espresse:

Credesi che la marina da Reggio a Gaeta sia quasi la più dilettevole parte d’Italia; nella qual, assai verso Salerno, è una costa d’Amalfi piena di piccole città, di gradini, di fontane e d’uomini ricchi e procaccianti in atto di mercantia si come alcun d’altri. Tra le quali cittadette n’è una chiamata Ravello, nella quale come ch’oggi v’abbia di ricchi uomini, ve n’ebbe già uno il quale fu ricchissimo, chiamato Landolfo Rufolo …”

Ora quando il Boccaccio così parlava della costa d’Amalfi, il declino della Repubblica era già avviato. Infatti l’apice dello splendore amalfitano lo si ebbe intorno all’anno Mille, periodo in cui  Amalfi e la sua costa rappresentarono la porta d’ingresso della cultura dell’Oriente in Italia e nell’Occidente tutto. Nel porto della Repubblica approdavano viaggiatori di ogni specie, dai quattro angoli del mondo allora conosciuto. Vi arrivavano marinai, mercanti, avventurieri, vagabondi e studiosi e maestri in ognuno dei campi dello scibile umano. Non a caso la Scuola Medica Salernitana ebbe origine dall’incontro delle esperienze di quattro maestri di diversa origine: Elino l’ebreo, Ponto il greco, Adela l’arabo e Salernus il latino. Su questa costa dalla miscela delle culture più diverse nasceva la modernità.

Amalfi fu la prima delle Repubbliche marinare e ciò fu dovuto alla sua collocazione in un luogo impervio, circondato da montagne incombenti e dove praticare qualsiasi attività economica, fra cui l’agricoltura, era assai difficile. L’unica risorsa, dunque,  disponibile era il mare e, da esso, gli amalfitani seppero trarvi in più grandi vantaggi.

Grazie agli accordi commerciali stretti coi saraceni, all’epoca padroni dell’intero Mediterraneo, le navi amalfitane giunsero in tutti i porti più importanti del tempo, creando basi commerciali in Terra Santa, Egitto, Tunisi, Tripoli, Alessandria, San Giovanni d’Agri e Costantinopoli. Si spinsero anche nel Bosforo e nel mar Nero. Esistono infatti, ancor oggi, i resti di un porto Malfitan nei pressi della città di Sebastopoli, in Crimea.

All’inizio del secondo millennio Amalfi era diventato l’emporio più importante di tutto il mar Tirreno. Ad essi furono dovuti importanti contributi all’arte della navigazione. L’invenzione della bussola, ad esempio,  è attribuita all’amalfitano Flavio Gioia, come ancora si legge sulla base della statua a lui dedicata in una piazza dell’antica Repubblica: “Amalphi in Campania veteri megnetis usus inventus a Flavio traditur.”  Anche se pare che Flavio Gioia non sia mai esistito. E ad Amalfi furono emanate le cosiddette Tavole Amalfitane che sono il più antico codice di Diritto Commerciale esistente.

La ricchezza di Amalfi suscitò l’invidia delle altre repubbliche marinare venute dopo ed in particolare dei pisani. Lo scontro con essi fu decisivo e la potenza degli amalfitani cominciò a declinare, dopo essere stati da essi sconfitti. Ma ebbe il colpo di grazia fu loro inferto dai danni ingentissimi inflitti dal maremoto del 24 novembre 1343, che  distrusse tutta la parte litoranea della città, le strutture portuali, l’arsenale e o magazzini. Poi  la conquista turca di tutto il bacino del Mediterraneo, completò l’opera.

Amalfi si ridusse quindi ad un povero villaggio scarsamente abitato e di nessuna rilevanza economica e trascorse i secoli successivi nel più assoluto oblio.

Per fortuna con l’avvento del Grand Tour, che tutti i rampolli delle più grandi famiglie europee intraprendevano in Italia si ebbe la riscoperta di Amalfi e della sua costa.

Per quei viaggiatori e per quelli che li seguirono nel periodo del Romanticismo la costiera con la sua bellezza incontaminata rappresentava l’ignoto, la scoperta e l’incontro con l’antichità  e con la natura. Giunsero ad Amalfi in quell’ultimo scorcio del XVIII secolo e nei primi decenni di quello successivo visitatori del valore di Sterne, Swimburne, e, soprattutto Goethe la cui influenza nel rinnovellare il mito della costiera fu decisivo. Dopo di lui arrivarono anche osservatori quali Gissing, Lear, Strutt,  Lenormant e Gregorovius per i quali, come per tutti gli artisti romantici la natura era l’attrazione principale. Di fronte a quel paesaggio variegato, primitivo e selvaggio ritrovavano l’empatia con la natura che favoriva il ritrovamento dell’Io, ricerca questa che era alla base del sentire romantico.

Tuttavia fino a quel momento l’accesso in costiera era difficile, non esistendo vie di terra occorreva giungere a Vietri, noleggiare una barca a vela e far rotta verso i borghi della costiera.

Ma la situazione mutò profondamente quando, nel 1854 Ferdinando II inaugurò la strada costiera che da Vietri giunge fino a Positano. Il progetto di quella strada era stato avviato da Giuseppe Bonaparte, che quando sedette sul trono di Napoli rimase affascinato da quei luoghi magici. Fu poi ripreso da Gioacchino Murat, ma gli eventi storici fecero si che si dovette  attendere il 1832 per l’avvio dei lavori.

La strada è una mirabile opera di ingegneria ed è certamente una delle più straordinarie che esistano. Perfettamente incastonata nella roccia ha, ancor oggi una importanza vitale per tutti i borghi sparsi lungo la costiera. La sua apertura facilitò l’accesso ed incoraggiò l’arrivo dei turisti che giunsero sempre più numerosi.

Tra gli ospiti più illustri vale la pena ricordare la presenza del poeta statunitense Henry Lonfellow che vi giunse intorno al 1864 ed al suo ritorno in America, preso dalla nostalgia per quei luoghi scrisse il poema “Amalfi” in cui così scrive, ricordando il borgo della costiera: “Dolce il ricordo nel mio cor discende del bel paese ch’oltra il mar si estende.”

Dalla Norvegia giunse ad Amalfi lo scrittore e drammaturgo  Henrik Ibsen che, nel 1879,  soggiornò con tutta la famiglia all’Hotel Luna. Divenne amico del proprietario signor Barbaro e nelle stanze di quell’Hotel scrisse il suo capolavoro “Casa di Bambola”.

Quanto agli inglesi finirono per innamorarsi delle atmosfere orientaleggianti di Ravello ed accorsero numerosi. Uno di essi, sir Nevil Reid, acquistò, alla metà del secolo, Villa Rufolo e ne trasformò i ruderi in uno dei più squisiti ambienti botanici del mondo. Tant’è che esso è oggi conosciuto come “Giardino dell’Anima”.  In quel luogo, Richard Wagner, quando vi giunse intorno al 1880 credette di riconoscere i favolosi Giardini di Klingsor, che compaiono nel suo Parsifal.

All’inizio dello scorso secolo i viaggiatori che approdano in costiera appartengono ancora tutti ad una élite sociale elevata, ma mano a mano la loro testimonianza diffonde nel mondo intero l’interesse e la curiosità per quei luoghi unici per il loro fascino, anche negli strati sociali meno facoltosi.

Nel corso degli anni Venti arrivano in costiera personaggi del calibro di Fortunato Depero, Carlo Carrà, Adolf Erbslöh, Richard Seewald, Kurt Craemer e Mauritius Escher che sviluppano, ciascuno il proprio linguaggio artistico ispirandosi al paesaggio ed all’architettura della costiera.

Ma in quegli anni il rilancio del mito della costiera è sostenuto anche dai numerosi turisti tedeschi che affollano la zona, innamorati della Grotta dello Smeraldo di Conca dei Marini o della Grotta Verde.

Negli stessi anni si assiste ad un concentrarsi a Positano di gruppi di esuli in fuga dagli opposti totalitarismi, quello nazista e quello sovietico. Tra i russi non si può non citare Mischail Semenov che  decise di stabilirsi a Positano, dove acquistò il mulino D’Arienzo trasformandolo nella sua dimora. Ed in quella casa ospitò personaggi quali Leonid Massine, direttore dei Balletti Russi di Diaghilev ed Igor Stravinskij e Pablo Picasso. Massine innamoraytosi dell’isolotto Li Galli riuscì ad acquistarlo per la favolosa cifra di 300.000 lire.

Gli anni venti furono anche quelli che videro l’arrivo in costiera di numerosi artisti tedeshi, primo tra i quali Riccardo Doelker che insieme ad altri suoi compatrioti diede l’avvio al periodo tedesco della Ceramica vietrese.  Uno dei più interessanti ed innovativi sia dal punto di vista artistico che della tecnica.

Nel secondo dopoguerra la costiera amalfitana fu scoperta dal cinema ed alcuni dei più rappresentativi registi italiani, tra cui Roberto Rossellini decisero di venir qui a girare le loro opere tra Amalfi, Maiori, Atrani ed il Fiordo di Furore.

La diffusione del mito della costiera portarono un incremento eccezionale nel numero dei turisti e nel corso dei decenni i vari borghi si sono dotati di strutture ricettive in grado di soddisfare gli ospiti più esigenti. Oggi però con l’avvento del turismo di massa, di quel turismo mordi e fuggi che porta solo caos e l’invasione di auto e pullman è giunto il momento per una seria riflessione sul modo di salvaguardare quel tesoro unico di cui la natura ha voluto far dono a queste fortunate contrade.

 

 

https://creativecommons.org/licenses/by/3.0

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